Napoli, Piazza del Kestè
Intercity Roma- Napoli: tre settimane di anticipo per
diciotto euro.
Camerata da quattro all’Hostel of the sun: lenzuola a pallini
colorati Ikea, wi-fi, barattoli di nutella e aria condizionata.
Un caffè dal Professore, parigina[1] da
Louise, sfogliatella in galleria: 50 metri su Via Toledo, con vista sul Golfo. Quattro
passi in Via dei tribunali, cena da “Di Matteo”o da “Sorbillo”: un fritto misto
a un euro, una margherita a tre.
Non serve andare in capo al mondo per trovare il paradiso.
Cala la notte, la città si sveglia al ritmo delle
percussioni di Piazza del Kestè, rapita dalle chiacchiere di Largo San
Domenico, sulla melodia di una chitarra in Piazza Bellini.
Tra caffè live music e “sorrisi integrali”[2] si
scioglie, la timidezza, ci si incontra, raccontandosi sotto un cielo stellato,
tra capannelli di gente allegra. Un’agorà domenicale sottosopra: ritrovarsi in
un quadro dopo una fetta di torta alle fragole nel risto-art sotto la
biblioteca…
Napoli dileggiata, calunniata, evitata, Napoli sfrontata,
violenta, sporca Napoli.
Città viva, ossessionata, virulenta e ammaliante. In
motorino in quattro, attraversamento disordinato di una giungla urbana: all’ombra
del Maschio Angioino tutto si può.
Panni stesi alle finestre, luci di musica, vita d’estate:
fare mattina in Piazza del Gesù, seduti sulle scale di una chiesa, una birra in
mano.
E riflette, la luna, sopra il Vesuvio, stretta tra Capri e
Sorrento: sarà un giorno di sole, domani.
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