Amristar,Gennaio 2012
E’di legno il braccialetto che porto al polso, composto da
tanti piccoli pallini, quasi un rosario.
C’era scritto “friends”,
ma le lettere sono state cancellate, spazzate via dall’uso, dall’acqua,
dall’egocentrismo di altre esperienze che hanno ricacciato in soffitta questo
incontro.
“Can I seat here, by your side? My name is Gyan”.
Sono le cinque e mezza, il cielo è grigio, fa tanto freddo.
Non ero preparata a queste temperature: pensavo che l’India
fosse un paese caldo, roba da mosche e zanzare, non maglioni di lana e fuochi a
bordo strada.
Sento le palpebre come macigni. Ho sonno. Mi sono alzata
presto, troppo presto, perché non voglio perdermi la cerimonia. Il sole si fa
attendere, la voce dei guru comincia a farsi sentire, ma il loro canto non mi
riscalda: seduta sul bordo della vasca d’acqua sacra, mi chiedo cosa ci faccio
qui.
Nel tempio d’oro, c’è pochissima gente: non è tempo di
turisti.
“Take it: it’s for you: we are friends now. What’s
your name?”.
Gyan avrà 30 anni, turbante rosso e kurti bianco.
Cammina a stento: lo vedo zoppicare mentre si avvicina
sorridendo. Mi si siede accanto: ha una busta in mano. La apre e mi regala un
braccialetto, poi comincia a raccontare, nel suo inglese stentato: della sua
vita, della sua ragazza, delle sue difficoltà.
Ma i miei occhi sono tristi, il mio cuore stanco: non ho
voglia di ascoltarti, Gyan, mi dispiace.
L’ho lasciato andare, questo incontro, ho lasciato che Gyan
si allontanasse dal mio campo visivo, il suo turbante rosso che scompariva in
lontananza.
Gambe incrociate, gli occhi chiusi, ho lasciato che i mantra
cullassero il mio cuore.
Ed ho pianto.
Il suo braccialetto, però, è sempre con me.
...Che bello (sniff)
RispondiElimina“Tu chiamale se vuoi coincidenze”...è il titolo di un libro scritto da uno che hai conosciuto.
RispondiEliminaCredo che anche Gyan non ti abbia dimenticato.