“Qual è la tua più grande aspirazione?”
Questa è la domanda
che mi ha portato a Santiago.
Ho sempre sognato di cambiare il mondo: per questo non ho
fatto architettura ma scienze politiche, ho lasciato perdere il disegno e
deciso che avrei fatto l’avvocato delle cause perse, come mi dicono tutti.
Quest’anno mi sono messa in cammino perché non avevo più
chiaro come portare questo cambiamento. Ed ho capito che prima di far questo
avevo bisogno di guardare bene dentro me stessa e di liberarmi dal peso di
alcuni ricordi, di persone, problemi, aspettative non realizzate, di sollevare tutti
quegli strati di insoddisfazione, rabbia e frustrazione che ero riuscita ad
accumulare negli ultimi mesi.
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Il cammino di Santiago è un atto di fede: è camminare senza
conoscere il percorso, senza booking, né guida, né wi-fi, affidandosi ad una
freccia gialla, che ad ogni angolo indica la strada. E per una volta la
precarietà non fa paura: diventa curiosità per quello che ci sarà dopo, anche
se certe volte sale la rabbia quando i piedi fanno male e negli ostelli (che
non possono essere prenotati) non c’è posto. Il cammino può essere fatto come
ricerca personale, come vacanza, per conoscere persone nuove o per conoscere di
più se stessi. I pellegrini vengono da tutto il mondo e sono di tutte le età:
si svegliano alle 6 per camminare fino alle due, fino al prossimo ostello, dove
fermarsi per la notte, cinque- dieci euro per un posto in dormitorio, uno
stendino per i panni sporchi e tanti compagni per far quattro chiacchiere e
condividere storie.
In questa quotidianità che diventa presto routine ho trovato
pace, lasciando che la stanchezza, il silenzio del rumore dei passi vincessero
la mia ansia, le mie angosce, le mie domande per il futuro.
In questa quotidianità ho imparato a domandarmi : “Come sto?
Cosa sento?
Mi sento stanca, felice, Piena di energia?
C’è qualcosa che mi turba? Perché?”
Ho cercato di darmi risposte con sincerità, senza aver paura.
Ho provato ad accettare i miei limiti e farci i conti, spiegandoli a chi camminava con me, che mi vedeva triste o preoccupata senza apparente motivo. Ho imparato a ringraziare per i miei compagni di cammino, e a sentire quanto grande è l’energia che riescono a darci quando siamo in difficoltà. Ho avuto la fortuna di avere una compagna di viaggio, Anke, che ha saputo sostenermi e supportarmi in punta di piedi, con l’affetto e la cura di chi ti aspetta quando rimani indietro.
In questa quotidianità ho imparato a domandarmi : “Come sto?
Cosa sento?
Mi sento stanca, felice, Piena di energia?
C’è qualcosa che mi turba? Perché?”
Ho cercato di darmi risposte con sincerità, senza aver paura.
Ho provato ad accettare i miei limiti e farci i conti, spiegandoli a chi camminava con me, che mi vedeva triste o preoccupata senza apparente motivo. Ho imparato a ringraziare per i miei compagni di cammino, e a sentire quanto grande è l’energia che riescono a darci quando siamo in difficoltà. Ho avuto la fortuna di avere una compagna di viaggio, Anke, che ha saputo sostenermi e supportarmi in punta di piedi, con l’affetto e la cura di chi ti aspetta quando rimani indietro.
Ho camminato in quei giorni con in testa il mio futuro e il
mio lavoro con Ashoka, come portare appieno il mio contributo, in Italia o
altrove. La voglia di cambiare le cose partendo dall’empatia, dalla
compassione, dalla ricerca di nuove idee, caratteristiche che tanto amo in
Ashoka, sul cammino hanno preso una nuova forma.
Camminando e guardandomi
dentro ho capito che l’empatia si acquista solo conoscendosi e accettandosi
fino in fondo, che la compassione è il riflesso della disponibilità
incondizionata ad aprirsi agli altri, e che per essere dei veri changemaker
bisogna prima avere il coraggio di cambiare se stessi.
Detachment
with love
Keep fighting for the world you want to see
Gracefully
let go of all the things not meant for you
Queste le frasi del mio cammino, pronunciate da persone
incontrate per strada, che hanno illuminato quello che stavo cercando,
permettendomi di leggere in loro quello che volevo sentire.
Arrivata a Santiago, in una mattina piovosa, ho sentito che
non era la mia vera meta, che il mio cammino era stato e sarebbe continuato ad
essere la vera meta. Sono partita per Santiago con una domanda, ma quando sono
arrivata, quando sono finiti i chilometri e ho smesso di camminare, quando è
finita la strada, allora è cominciato il vero viaggio. In quella piazza persa nel
nulla ho capito anche che la risposta alla mia domanda non è univoca e che
cambierà nel tempo, e implicherà una serie di nuove decisioni e svolte.
Le mie
domande saranno sempre lì, che forse senza quelle domande Natalia non sarebbe
Natalia: quelle domande e quelle preoccupazioni fanno semplicemente parte della
vita, mia e di tanti altri. E la nostra storia di dolori, di gioia, di
sofferenze, di successi, di perdite, di guadagni, di affitti, case, viaggi e
stipendi, è anche la storia di tanti altri, che come noi passano attraverso le
stesse difficoltà e le stesse preoccupazioni. Alcuni giorni sono pieni di
gioia, altri di pioggia, ciascuno solo un momento di una storia più grande.
Ho capito che per cambiare le cose fuori dovrò prima
continuamente mettermi in gioco dentro, restando fedele a me stessa, con il
coraggio di accettare quello che sento nel profondo, e di accoglierlo senza
giudicarlo, fuggendo da tutto ma non da me stessa, anche se questo dovesse
significare andare controcorrente, lasciare il passato e abbracciare qualcosa
che non conosco. Affidarmi. Far tacere i fantasmi dentro di me seguendo il
ritmo lento dei miei passi. Ascoltare la mia voce interiore.
Mi rimane impressa un immagine: un bimbo e un nonno a bordo
strada. Il bambino ci sente arrivare, si gira rapido, ci guarda, ci sorride
dall’altra parte della strada. Poi alza la testa, si mette in punta di piedi e
urla a pieni polmoni: Buen Camino!!!
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