“Benvenuti, prendete posto: di spazio ce n’è, se saprete
adattarvi”.
Questo ho sempre pensato sussurrasse il mondo.
Preparato il bagaglio, tracciato l’itinerario, in mano una
mappa legata al caso: si parte.
Forse faremo amicizia con suonatori di liuto, rincorreremo disegnatori
di prati, seguiremo organizzatori di feste in castelli dimenticati, faremo
conoscenza di vecchi massaggiatori indiani, scopriremo le carte scrutando nel
nostro passato, saremo ammaliati da distanti fuochi su una spiaggia, guarderemo
il sole che sorge in un lontano frammento di mondo, lasciandoci portare da un
turbinio di racconti, in balia di mille pensieri incantatori…
Di “una furiosa e forse indecente sete di vivere” parlava
Ivàn Karamazov.
A metà tra due mondi, il viaggiatore cerca il suo posto: uscito
dal suo universo, insegue il cifrario di comprensione di un altro,
attraversando il limbo scivoloso del non conosciuto: viaggia nella terra
promessa per portarne le cronache a chi resta nel paese natale.
Uomo sul confine schiavo del suo binocolo, osserva di
lontano…
Ma non riesce a restare a guardare: le sue forze lo spingono
oltre, il suo sguardo si allarga, abbraccia l’orizzonte. Miraggi di terre
sconosciute, voci di linguaggi ignoti, mondi invisibili di fronte ai suoi occhi:
la realtà dell’oltreconfine si scontra con la soglia della quotidianità.
Alla ricerca dell’essenziale, si veste di uno sguardo di
farfalla, impegnandosi a volare in alto. Coraggioso artefice di se stesso, crede
di poter catturare i sogni.
Quando avevo diciassette anni ho comprato un quadro: monaci
buddisti a piedi nudi, in cammino.
Da allora è diventato la mia metafora di vita.
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