Notte.
Piedi a bagno nel fiume, distesi in un bungalow a filo d’acqua. Fiori di gelsomino scorrono via con la corrente: siamo a Kampot, deviazione di rotta dopo un deludente giro a Sihanoukville, inseguendo il sogno di un’ isola che non c’è.
Piedi a bagno nel fiume, distesi in un bungalow a filo d’acqua. Fiori di gelsomino scorrono via con la corrente: siamo a Kampot, deviazione di rotta dopo un deludente giro a Sihanoukville, inseguendo il sogno di un’ isola che non c’è.
Piove, ricordandoci di non fare troppo affidamento sulle
aspettative, insegnandoci a prendere la felicità come arriva, rinunciando a
spiagge (non) soleggiate, riscoprendo fiumi invece del mare, affezionandoci ad
una tranquilla cittadina casualmente finita sul nostro percorso.
Sonnacchiosa mattina sulle poltrone vista fiume, morbide e arancioni, una ninnananna per i nostri occhi stanchi, che facilmente si chiudono al ritmo dei Radiohead: c’è sempre musica al bancone del bar. Abbandonati i piani di visite a cascate, giungle, grotte e città, ci rassegniamo al riposo, così difficile da accettare quando si è curiosi di vedere, scoprire, vagabondare intorno.
“Beh, forse è arrivata l’ora di vagare un po’ dentro me stessa”, mi dico, di mettere a posto non solo gli appunti di viaggio, ma anche i pensieri, le emozioni, le persone che mi hanno incrociata, rassicurata, stupita in queste settimane.
Sperando di riuscire a mettere un po’d’ordine anche in me stessa.
E i pensieri si riordinano, pian piano, si scende a patti con i problemi lasciati a casa, ma che continuano a bussare alla porta, li si affronta meglio chiacchierando tranquilli con amici di sempre e nuovi compagni di viaggio.
...
Finalmente il cielo si schiude, e siam subito pronti per un giro in bicicletta, su strade sterrate e annacquate, tra bambini a cavallo di bufali, monaci cambogiani con libri d’inglese sottobraccio e preti ecuadoreni pronti per una partita a pallone.
Finalmente il cielo si schiude, e siam subito pronti per un giro in bicicletta, su strade sterrate e annacquate, tra bambini a cavallo di bufali, monaci cambogiani con libri d’inglese sottobraccio e preti ecuadoreni pronti per una partita a pallone.
E’ già sera: un silenzio confortevole culla parole altrimenti difficili, così semplici da condividere in questo buio…“Sei felice?”.
Ho camminato tanto, in questi giorni, ho visto luoghi incredibili e fatto cose impreviste. Ho nuotato in un fiume scuro, controcorrente, ho seguito motociclisti spericolati in mezzo alla giungla, ho guardato albe a mezz’aria, mi sono addormentata tranquilla al suono della pioggia (per una volta senza tappi), ho discusso di arte e di bellezze naturali e umane, sostenendo convinta il fascino dei monaci buddisti. Ho accettato di perdere il controllo, qualche volta, e sono scesa a patti con me stessa. Ma, soprattutto, ho rinunciato alla mia indipendenza e al mio egocentrismo, per una volta. Ed ho capito che forse non ho sempre voglia di avere in mano la situazione, e che posso accettare di affidarmi agli altri: ho cominciato un’avventura con due grandi amici, ed ho scoperto che la gioia è piena solo se condivisa.
E, sì, ho capito di essere felice.
Nessun commento:
Posta un commento