E se abbattessimo tutte le barriere, se distruggessimo i
palazzi e dimenticassimo le strade, cancellassimo gli oceani e superassimo i
fusi orari, che confini avrebbe la mia città?
Sarebbe fatta di edifici o
costruita sulle persone, mossa dalle passioni o inchinata alle necessità?
Sarebbe
visibile da lontano o si nasconderebbe agli occhi di chi la cerca, senza mai
lasciarsi trovare?
Tutto e niente da offrire, regalerebbe il mondo in un
pensiero, abbracciando il dolore in uno sguardo, facendo ridere con una carezza.
Sarebbe una città fatta di giardini, di alberi tranquilli,
persi nel silenzio delle sere dell’estate, gli occhi dei suoi abitanti che si
chiudono parlando della vita, con una birra in mano. Leggera ma con solide
fondamenta, pronta a rinascere altrove, un araba
fenice sulla mongolfiera del mondo. Sarebbe fatta di persone la mia città, le
accoglierebbe tutte: chi se ne è andato e chi è sempre rimasto, chi è passato
in un fugace apparizione e chi non ha mai trovato il coraggio di andar via. I suoi abitanti conoscerebbero
a memoria tutte le strade: saprebbero sempre a
chi rivolgersi per una chiacchierata in collina, per una partita a scacchi, per
una passeggiata post discoteca, nel silenzio dopo il rumore delle
feste lontane. Avrebbe tanti ricordi, la mia città, inscritti in solide fondamenta,
immutabili come la memoria ma
accoglienti come il coraggio, quando la nuova terra si avvicina.
Senza più valigie, le sue strade come altalene, si potrebbe
viaggiare lontano...
Stavolta sì, senza paura.
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