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lunedì 11 novembre 2013

Londra- Wake me up


"All this time I was finding myself, 
but I didn't know I was lost" (1)
Dicono che certe città parlino al cuore, e che altre ti mettano al muro, strappandoti tutte le parole. 



Mi ha sempre fatto uno strano effetto, Londra. 
Come quando bevi dal calice amaro della catarsi e non sai se reggerai l'urto,se sarà purificatore o ti farà a pezzetti, tagliata a lamelle dal ritmo delle partenze.
Londra ti scuote, ti risveglia martellandoti con una pioggerellina battente, e poi ti mette alla prova con quel suo cielo grigio che non lascia posto per le soddisfazioni facili e le gioie passeggere. Apre la mente, Londra, con quell'innegabile slancio delle situazioni che obbligano a cercare oltre una via d'uscita, fosse pure con la fantasia. Dicono che ci si venga per fare carriera: un paio d'anni senza vita, quindici ore di lavoro al giorno senza spazio per nient'altro, nemmeno nel weekend, da passare al desk o prosciugando anima e portafoglio in qualche club.
Si può scegliere di dimenticare se stessi, a Londra, o di fare i conti con le occasioni,tra gli young professionals fuggiti da quei paesi di cui dovrebbero essere il futuro. A Londra si arriva per perdersi, o ritrovarsi, sperando che qualcuno ci svegli al momento opportuno. Perché è solo fermando il movimento che si capisce dove andare, che si scopre quello a cui si tiene di più.
"Dont worry Camerun, we will stop the recession" si legge in metropolitana.
Ci sveglieremo, un giorno.
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"All this time I was finding myself , 
but I did not know I was lost"  (1)

Certain cities seem to have the power to speak to our hearts, while others put you in the corner, London has always had a strange effect on me. Like a bitter sip of medicine, either healing through its strength or weakening for its strong consequences. London shakes you, awakening with its pouring rain, challenging with its gray sky that leaves no place for easy satisfactions. It opens the mind, with its undeniable momentum, forcing you to seek more than a way out, at least with your fantasy. So many are those who come here pursuing their career, choosing to spend a couple of years away from real life. Each day, they spend fifteen hours working. Nothing else, not even during the weekends, in front of the desk or draining their soul and wallet in a posh Chelsea’s club.
In London you can choose to forget yourself, or to deal with opportunities, hidden among young professionals who fled from countries that should be their future. You can come here to get lost, or to look for yourself, hoping that someone will wake up at the right moment. Cos it’s only stopping the movement that you can understand where to go, and what you really care about.
" Don’t worry Cameron , we will stop the recession" It’s written in the subway .
We'll wake up, one day.


1 Avicii "wake me up" 

martedì 14 maggio 2013

Farewell


Happy Hour di arrivederci e almuerzos di despedita. Custodire Dc nel ricordo, abbracciandola  dalla collina del  Cimitero di Arlington, prima di perdersi in una festa ad Adams Morgan, e trascinarsi a casa in bici alle tre del mattino.
Cosa mi mancherà?
Il silenzio ovattato del fine settimana, l’ allegria soddisfatta dei caffè del venerdì, gli sguardi stupiti dei signori alla reception mentre me ne vado alle dieci di sera. E specialisti semi sconosciuti che condividono frammenti fragili, preziosi delle loro vite con te, giovanissima europea pseudo in carriera, arrivata da poco. Adesivi, forcine colorate e torte con frosting alla fragola per farmi felice.

Settimana pseudo tormentata, ultima chance per un nuovo lavoro, con la sensazione di non essere artefice della mia vita, l' anima piena di commozione, e gratitudine.
Molte persone mi han domandato perché voglio così tanto restare a DC. 
La maggior parte di loro crede che sia per il mio lavoro strapagato, che " lascerà un segno nel mio cv". Altri credono che sia per la bella città, o perché sono stata ammaliata dal fascino delle comodità della vita americana. 
Chi mi conosce davvero sa che non sono queste le cose che contano.
Voglio restare per i miei amici, per le persone meravigliose che in questi mesi mi han consolata, mi han fatto sorridere, mi han dato fiducia quando l’avevo persa, mi han camminato accanto e mi han resa felice.
Altre volte ho pianto, partendo.
Dopo  i sei mesi a Warwick, dopo l Erasmus a Lille, dopo i due mesi di India e dopo i sei anni a Roma ho sentito che sarei voluta restare, perché erano casa quei luoghi. Ma, come si dice “non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti1”.
"Piccoli pezzetti di cuore seminati nel mondo" come mi disse mio fratello tanto, tanto tempo fa.
Incrociando le dita, Farewell Dc.


1 Atti degli Apostoli 1,1-11.




domenica 14 aprile 2013

Nel mio porto quiete

                   Washington, National Gallery of Art


Puzzle di pensieri di fronte a Monet, Seurat e ai Pre Raffaeliti, ringraziando il cielo che in queste giornate esistono i musei. Da 20 a 75 gradi fahrenheit in 3 giorni, di sera a picniquear ai cherry blossom, la notte sul dondolo in terrazzo.
Ci sarà una ragione per la quale tutti lodano il clima del bel paese.

In bici sulla sopraelevata, un padrenostro impaurita, a casa grazie ad uno sconosciuto: angeli che non abbandonano, neppure oltreoceano. Lotte contro il malocchio al bikesharing, guardando in cagnesco l americana smart e il suo ultimo dock: la prossima volta non aspetterò il verde. Asado e Pisco a Arlington, in una bella casa in mezzo alle foto di Matilde: si riposeranno mai i miei colleghi di lavoro?
Impegnarsi per il riciclaggio anche a Washington: "Solo un anello della catena"', che non scende a compromessi sui propri valori, proprio perché c e sempre chi ti ricorda che “nulla mai cambierà”.

Sto cominciando ad apprezzare le mie nottate in bianco, aiutano i pensieri.
Sono davvero pronta a cambiare il mio profilo su fb?
Quando imparerò a lasciarmi andare e divertirmi?
Ma voglio davvero solo divertirmi? E, se la risposta e no, saprò accettarne le conseguenze?

"Ti ho detto che non mi pìace la birra!"
Rimorsi o rimpianti, di fronte alle ninfee, ricordando Monet e un quadro da bambina...
E troverò anch io nel mio porto quiete.



lunedì 8 aprile 2013

Whatever happens tomorrow


                                                                                        Washington Dc


“E quando poi davanti a te si apriranno tante strade, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta.
Respira, aspetta, e aspetta ancora. E ascolta il tuo cuore,
Quando poi ti parla, alzati, e va dove lui ti porta”
                                                                                          - Susanna Tamaro-
                                                                                      Va dove ti porta il cuore

Sono fioriti i ciliegi a Washington.
E sembra essere definitivamente arrivata la primavera.
Seduta su un dondolo in terrazzo, la stessa pace inseguita in altri tempi, in altri luoghi: afferrata nella preghiera di un muezzin in un tramonto a Beirut, sfuggita nel caldo torrido della Giordania, ritrovata nei richiami lontani di una moschea di Calcutta, di fronte alla mia chiesa, lontana, dalla finestra.
E ora, qui, aspettando notizie dal cielo.

E intanto arriva, la primavera, inaspettatamente, in un soffio di fiori che richiamano frotte di gente: picnic, pallavolo, carrozzini e aquiloni di fronte al Tidal Basin, una lunga fila per i pedalò.
Non è forse questa anche casa?
Già troppo casa per non ricordarmi le belle sere di maggio, anticipate ad aprile a quanto sembra, col silenzio rotto da rumori lontani.

Ieri fuochi d’artificio, al ritmo di sacre musiche giapponesi. Per riportare la pace, insieme al sole di questo weekend di passeggiate, su una settimana intensa e difficile, più dentro che fuori.
Ho scoperto che finisce uno a zero per il mio egoismo quando fingo di voler accettare gli altri come sono, continuando a rimproverar loro le mie aspettative.
Ho tirato di nuovo i dadi in un’altra partita, anche se il risultato mi fa paura.
Ma stavolta non ho scelta.

E quasi notte...Shalom.
“Whatever happens tomorrow, pick up today”

martedì 2 aprile 2013

Oltre le nuvole


                                                              Bolsena, Italy

Pasqua.
Una chiesa aperta, vuota, buia nel suo silenzio ovattato, il verde  rumore della campagna intorno.
Come se non avessi mai smesso di ascoltare il mio cuore parlare con Dio, nella nostalgia di casa.
Un passaggio in stazione, gli amici di sempre al ritorno dai quattro capi del mondo, negli occhi cupole d oro e lezioni in college tra la nebbia, raccontando di paesaggi  latinoamericani, addolciti da dulce de leche  e Pan de queso.
Per tre giorni: mai abbastanza per ritrovarsi, sufficienti per salir in capo al monte e guardare giù, allontanando i fantasmi. 
Tra cioccolato, pastiere e pranzi di famiglia, trovando la forza per scalare la cima, per guardare l orizzonte aldilà delle nuvole. Trovando il tempo per tornare indietro, ai mesi che passano, alle conversazioni, ad ogni gesto accettato e regalato, nonòstante le distanze e gli attimi fuggenti.Trovando il coraggio per scavare in me stessa, guardando in alto come mi riesce solo nella campagna intorno a casa, o in qualche montagna sperduta dell India o nel mezzo di una risaia cambogiana.
Lontano dalle aspettative e dai desideri di DC.
Giorni fruttuosi, insomma.
Ora si torna, al lavoro, con la solita sensazione di aver cercato risposte e trovato domande, inseguito una strada e scoperto le tante deviazioni possibili.
Stanca ma felice, alla ricerca del mio pezzo mancante di puzzle, i piani B,C e D pronti da giocare, tentando di seguire i segni.

Mi han detto di chiedere, insistentemente.
E di non aver piu paura di ottenere quello che cerco. 

lunedì 25 marzo 2013

If you believe

Washington, Hirshhorn Museum

Ieri per la prima volta, ho guardato  la mia vita da un altra angolazione. Davanti a un paio di quadri di Mirò (in mostra gratuitamente in un dei quaranta musei di Washington) ho smesso di preoccuparmi delle forme e ho gioito per i colori.
Per una volta non ho cercato il disegno della mia vita nomade.
Oggi nevica, in questa semi primavera in attesa dei cherry blossom.

Diversa, come sempre, da quel che mi aspettavo. 
Ma mia: la mia possibilità oltreoceano. Nell' America delle strade accessibili, dei sogni e della semi libertà, in questa America dei bicchieri di vino solo col passaporto e delle banconote con scritto "In God We Trust", ma senza giorni di ferie per Pasqua.

Sempre in bilico tra felicità e impazienza, tra arrabbiature e riconoscenza: guardando le stelle dal planetario di un museo ho capito che un avvenire nebuloso non è poi così male.
"If you believe, you are a wizard enough" recitava il mago di Oz dall’alto di un mega schermo 3D. 
Saprò crederci abbastanza?




lunedì 18 marzo 2013

Oltreoceano


                                                                           Washington, Dc

Una barca in balia della tempesta, un’ Alice in una partita a scacchi senza regole: tra pioggia e neve, stenta ad arrivare la primavera, qui negli States.
Oltreoceano, si cerca di affidarsi, a fatica, tra applications, pranzi e cover letter, con un biglietto di ritorno in Italia e la voglia di restare qui. Si prova a comporre da soli la lista delle priorità, trovando il coraggio di uscire prima dal lavoro, perché una passeggiata con qualcuno venuto da lontano vale più dell’assurda pretesa di soddisfare se stessi.

Hanno acceso il fuoco stasera, in questa rowhouse sulla 13, tante carte riunite insieme davanti ad un bicchiere di vino. Un giro di notte ai confini, per abbracciare con gli occhi ciò che di solito non si vede, oltre il Mall, i centri commerciali e i monumenti, verso le strade ancora pericolose del South East.
Oltre il confine, anche se fuori fa freddo. 
E nuove guide all’orizzonte, mentre chi resta oltreoceano guarda stupito alla finestra.

Servirà? Torneremo?
Continueremo a lasciarci ammaliare dal richiamo di casa?

Ma è già tempo di rimettersi in cammino, sempre alla ricerca del nord, anche se il cielo è grigio e il sole stenta a spuntare.
Andrà come andrà, anche oltreoceano arriverà la primavera.

lunedì 11 marzo 2013

Your true North



Philadelphia, Us

"Non si parte mai quando si parte: si parte prima, molto prima"
Luoghi ormai cari e paesaggi stranieri in questo weekend assolato con un' ora in più.
Costruire: perché duri e sopravviva all’estate, o resista fino a cambiare, o si lasci dissolvere, trasportato dalle occasioni. Mai un ritorno senza  il peso di un assenza, per osservare meglio quello che resta. 
Tra déjà-vu e brandelli di sogni, ricordarsi di una conversazione, di notte, all’altro capo del mondo: un futuro di speranze bambine e una realtà di guerrieri. Resisterà fino all'estate?
E intanto si spera, in una "freedom for free " al ritmo di musica country,  da una collinetta assolata, il museo afro americano all' orizzonte: anche questa è America.
E poi un weekend a Philadelphia, tra murales, wine tasting e campane, tra gli scacchi del City hall e i cori del paddy day, inseguendo un rintocco immobile di libertà.
"Follow your true north": seminascosto nella vetrina ovattata di un negozio, per ora chiuso.
Ma arriverà l’estate.




lunedì 4 marzo 2013

Darsi tempo...prima della battaglia



Darsi tempo, per parlare con sé.
Cogliere l’occasione di descriversi e scuotere chi guarda, rabbrividendo di freddo, in questo wend di inizio marzo. Cogliere l’ occasione di parlare, per una volta non distratta dalle bandiere del Campidoglio, dalle strade larghe (ora deserte), dai cortili che abbracciano i tanti musei.
Darsi tempo per confondersi tra la gente sulla 14, senza perdere l’orientamento dopo 3 margarita al lost society, senza sentirsi sperduta anche se è notte e la luna non c’è, non più affamata dopo una jumbo pizza, rianimata dopo una passeggiata in collina.
Darsi tempo per sentirsi stanchi e per dormire fino a tardi, per non esserci sempre, per non essere sempre all’altezza. Darsi tempo per guardarsi, anche dove la luce non c’è, per accettarsi, né più né meno di altri, semplicemente diversi. E scoprire quanto è difficile capire, gli altri e il loro modo di essere, le tue amiche latinoamericane già ad aspettarti, mentre tu cominci ad arrivare in ritardo. E ci saranno sempre alcune cose che nessuno apple store potrà dare, e alcuni errori che nessuna  politica di resa acquisti americana potrà mai riparare.
Con i piedi per terra, e lo sguardo in alto, continuare a sperare, e a pregare…
Prima della battaglia.





lunedì 18 febbraio 2013

Nella tanto vasta America


                                                                                                    Chicago

In viaggio verso Chicago, a ricostruire legami in capo al mondo, a sistemare frammenti di vita zigzagando in una nuova città.
Weekend intenso per guadagnarsi la certezza che si può ricominciare.
Sempre.
Ammirando Chicago: bellissima, fredda, mutevole, come mutevole è la tanto vasta America. Chicago di parchi e vie larghe di negozi, di musei e centri d’arte, la grande Jatte di Seurat che scalda i meno dodici di questa domenica soleggiata, un tazo tea come alleato per resistere al freddo. Chicago delle casette di pietra di old town, della ruota del navy pier, della stuffed pizza da 1200 calorie a fetta, Chicago di amici di lunga data, visti dopo tanto tempo, in fretta, tra conversazioni strappate agli esami e all’ansia da sighseeing contro il tempo, amici che regalano preziosi pezzi della loro vita, per farti pensare a quanto bella è anche la tua.

Finalmente il coraggio di raccontarsi il futuro, quella valigia sotto il letto, sempre pronta, di tre mesi in tre mesi, senza sapere che lingua si parlerà quando arriverà l’estate, incrociando le dita perché i vestiti portati non siano abbastanza, che un’altra stagione passi prima di dover emigrare di nuovo.
Flessibili e pronti a tutto, ormai dietro le spalle la certezza di un futuro, riposta in un carrillon.
Troppo choosy per rinunciare ai propri sogni, schiavi di una vita in altri paesi, sempre in discussione, senza più domandarsi quando si tornerà a casa.
Oggi sashimi con tacos e diet coke, hablando in inglese senza più nemmeno domandarsi perché.

“No pasa nada Nati”
Su una pietra a guardare il mare, il lago pardon, ascoltando in silenzio, allargando il proprio cuore perché possa accogliere senza voler giudicare. Assonata, pur di cogliere attimi, preziosi, di vite altrui, riempiendo le distanze nello spazio di un abbraccio.
“Si riceve sempre quello che si dà”…


sabato 5 gennaio 2013

Buon Cammino


                                                                                     Lago di Bolsena, Italia

Un silenzio che accoglie tutte le preghiere, anche quelle nascoste sotto la fragile, illusoria tranquillità quotidiana. Un silenzio che riscalda, come un amico ritrovato, mentre l’acqua cambia colore, irrimediabilmente, fallace presunzione di racchiudere sentimenti.
“Se l’animo non te li mette contro”.
“Mi mancherai”, un arrivederci sussurrato da chi non ti aspetti, in uno sguardo profondo, oltre tutte le distanze. Un abbraccio che unisce,  anche se il tempo è poco, ricordando un altro abbraccio, di qualcuno ormai ripartito. Legami che continuano, nonostante tutto. Due persone fatte l’una per l’altra, a rincorrersi senza mai trovarsi, sempre smarrite in angoli diversi della propria storia.
E si sorride, pensando alle priorità, ai legami, domandosi “se durerà”, in questa notte caldo amara, a raccontarci il futuro,  frugando trai ricordi, ricostruendo questi mesi lontani. Una chiesa vuota, candele e silenzio, dopo il rumore e il frastuono. Tempo di incasellare tasselli, prima di continuare il puzzle.
Ma è già ora di levare l’ancora verso le mie isole nella corrente, guardandole assonnata, ricordandole col pensiero attraversando i Fori imperiali, in una melanconia dolce di un pezzetto di vita nuova ma già parte della mia storia.
Ormai è quasi mattina, scompaiono le stelle in lontananza…
Tempo di ripartire: buon cammino.

sabato 29 dicembre 2012

Momenti felici...per illuminare l'inverno

Roma, piazza Navona

E poi torni, cambiato.
Occhi diversi, diversi giudizi, diverse emozioni, un diverso sguardo: hai imparato ad accogliere, diversamente. Tutto ormai nuovo, anche se mai cambiato: indistruttibile come un ricordo e accogliente come un abbraccio.

Piazza Navona sempre la stessa: stesso sorriso profondo di gialli palloncini su uno cielo rosa di sera, stessa gioia arrivando a casa, ridefinendo casa.
La cena di Natale e i discorsi di fronte al caminetto, le riflessioni sui massimi sistemi davanti ad una cioccolata inzuppata di “brutti ma buoni”, l’internazionale finalmente di carta e la gioia di ritagliare l’oroscopo, ritrovare il mio lago camminando lentamente in un giardino ormai quasi segreto. Un incontro inaspettato e il sapore d’inverno sull’Arno, cantucci e alberi di Natale.
 “Per due soldi un topolino mio padre comprò”: accento toscano e grezzezza romana.
Regali piccoli come un pensiero e importanti come l’affetto di chi ti conosce davvero, amici che aspettano, ricorrono, accolgono, a metà strada, per venirti incontro.
Amici che ascoltano e si preoccupano, leggendo sotto le preoccupazioni futili e le fragili garanzie sufficienti ai più.
Amici che ritornano, da tanto lontano o da dietro l’angolo, chissà perché.

“Per fare il frutto ci vuole il seme”. La bambina interrompe la sua canzone: stiamo per arrivare.
Oltreoceano, aspettando la primavera, con una valigia carica di momenti felici per illuminare l’inverno.





domenica 23 dicembre 2012

Verso casa...




Passano White Christmas alla radio: odore di cinnamon roll, di caffè e di Natale. Valige di regali, alberi, luci e decorazioni sopra le porte dei gates. Tempo di tonare a casa, a quella vera. Due mesi intensi come una vita, sfuggenti come un miracolo, metamorfosi nascosta dietro un biglietto d’aereo.
Quanto si può cambiare senza ingannare se stessi?
Quante e quali sfide accettare sul proprio cammino?
Mettersi in gioco, ricominciare, per caso o per fortuna. Differentemente, per gioco del destino.
Scoprirsi duri come la roccia e fragili come un castello di sabbia, mentre la marea si avvicina. Accettare i propri limiti e scendere a compromessi: con se stessi, soprattutto. Sorridere, ridere e ricominciare: ogni giorno di più, senza guardarsi indietro, con gli occhi aperti a tutto quello che verrà. E svegliarsi di colpo, scoprendo di aver già trovato degli amici, rendendosi conto che Dc non è poi così fredda e che Georgetown ricorda l’Europa.
22 dicembre,  2012. JFK: eight hours left.
Ora di tornare a casa, in tempo per Natale.

domenica 16 dicembre 2012

Abbracciando l'America


Passano i giorni e sempre più mi sento a posto, nel mio posto: in un'altra casa, diversa da  quella vera, ma sempre più mia.
Alcuni momenti duri, tanto lavoro e qualche arrabbiatura, ma si dimentica tutto dopo una chiacchierata con una nuova amica e una cupcake.
Ci si sente felici conoscendosi pian piano, scambiandosi saluti, modificando idee e cambiando punti di vista, coniando parole in spagnolo, inglese e francese, nella mia nuova famiglia del decimo piano, un mix di colombiani, peruviani, guatemaltechi, haitiani e spagnoli.
Un puzzle che prende forma attraverso i consigli, le rassicurazioni, gli aiuti di persone che mi conoscono poco, ma che già mi vogliono bene, mentre le giornate si riempiono tra alberi di natale, vagabondaggi prenatalizi e feste di compleanno.
Un pezzo di pizza per ricordarmi che è sabato e non rompere le tradizioni: oggi giornata di puro shopping, abbracciando l’America tra le buste colorate di un outlet. 
Sei giorni e si parte: il conto alla rovescia è cominciato…!

domenica 9 dicembre 2012

"It's gonna be...All Right"




Svaniscono le luci, la folla, il rumore di idee di Times Square: scompaiono oltre la pista di pattinaggio del Rockfeller Center e le decorazioni di Natale. Un lego trovato per strada, un dollaro beneaugurante al collo: scorrono via gli incontri, granelli di sabbia tra le dita. Ma i legami forti restano, seduti sui banchi di legno di una chiesa sulla 5th: un ragazzo in ginocchio, una nonna e il nipotino, camicia viola e gilet grigio, un portafoglio di pelle per sentirsi grande. Sfila la gente dopo la comunione: noi aspettiamo, con la paura di sciogliere una riunione di famiglia.
“Bye, have a nice Sunday”.
Una commozione che ritorna ogni volta, fosse pure in capo al mondo, guardando in silenzio nella stessa direzione, la mia Itaca in lontananza.
Si intravedono le prime luci: tempo di un primo bilancio.

Costruire, metter ordine, definire le stanze di un castello di sabbia, senza sapere se durerà, se sarà spazzato via dal vento o se l'acqua lo ricostruirà altrove.
Coltivare rose e approfondire amicizie, discutere affari di casa e imparare a orientarsi tra i piani, parlare via skype in spagnolo senza più paura, il mio accento come un tocco di originalità. E i progetti non più sigle ma ormai fatti di volti, le casette di Columbia Heigjhts come vecchie amiche, la gioia davanti all’azzurra all’angolo, sapendo che casa è vicina.

”It’s gonna be…All right”
Comincio a contare i giorni: ormai è quasi Natale.

sabato 1 dicembre 2012

E poi la vita risponde






















“Si arriva sempre dove ci stanno aspettando”

L’ho letto in un libro, prima di partire.
Ora che cammino la sera tornando a casa, lontana da casa, comincio a capire il senso di questa attesa silenziosa, di questo ritorno nascosto. Guardo le case, le corone di Natale alle porte, le luci accese e le candele alle finestre, e una parte di me pensa sia un film, l’altra sorride capendo che sembra esserci un posto, anche per me.

Possibilità e difficoltà, la paura di cadere e la voglia di volare alto. Biglietti da visita, crostate, palestre e happy hour, nuovi sorrisi e vecchie abitudini. Tessere con pazienza una rete di relazioni, e riempirsi di gioia quando la si trova salda, pronta a sorreggerti quando non riesci a navigare da solo, ad indicarti la strada con un sorriso, un abbraccio, una parola gentile, non importa in che lingua.
Il mondo dentro e la realtà di fuori, avvilupparsi nel proprio destino e allargare lo sguardo all’infinito. Sfiorare in silenzio il frastuono delle preoccupazioni e imparare a suonare la propria musica, anche se talvolta è più fragile di una lacrima. Sognare o imparare a svegliarsi, accettare di vivere al riparo o scendere a patti col mondo.
Aprire gli occhi e guardarlo in faccia, il mondo, per capire che ci ha dato gli strumenti, e il nostro posto va “solo” costruito.
   
“Accadono cose che sono come domande.
Passa un minuto, oppure anni.
E poi la vita risponde”[1].

Il libro, alla fine, non l’ho messo in valigia: ho deciso che la mia storia volevo scriverla io.




[1] Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia
        

sabato 3 novembre 2012

That's America...




You can’t get there by plane? Take a car and drive for eight hours…
“Welcome, sweetheart: that’s America!
Arrivo turbolento schivando l’uragano, sfide all’orizzonte, liste infinite di cose da fare...


Casa: trovata. 
Assicurazione: fatta. 
Conto in banca: aperto. 
Bikesharing: attivato.
Continuo a perdermi per i corridoi ma ho imparato a usare le macchine del caffè.
 “Che tu ti diverta e che sii contenta”, discutere di progetti correndo su un tapis-rulant o guardano grattacieli che si beffano di te nella notte. “Goodmorning everybody!”Autisti che urlano con in mano megabicchieri di cocacola, Waffle house, Kfc, Subways e Mac Donald’s, Fridays e Confort Inn. Biciclette, sole e freddo, scoiattoli, macchie di foglie arancio e gialle, odore d'inverno, e anche di casa. Comincio ad ingranare, con un po’ di fatica e qualche preoccupazione, ma sorridendo, su uno sfondo chiaro di felicità....

giovedì 25 ottobre 2012

Casa


                                                                                Viterbo, Villa Lante

La mia casa sarà sempre “dentro”?
Mi seguirà dovunque io vada?
O mi sveglierò un giorno scoprendo di essermela lasciata dietro le spalle, e di sentirne terribilmente la mancanza?

Qualche giorno fa ho vagato per Roma, come ai vecchi tempi, che tanto vecchi non sono ma sembrano lontani anni luce. Le strade che si svegliano attorno al corso, l’odore intenso dei cornetti caldi, il traffico delle ore di punta ancora lontano. Il silenzio fecondo di una vecchia biblioteca,il sole caldo delle ottobrate romane, la felicità di ritornare in un posto caro.
Adoro questa città.
La sento mia come un rifugio, come un porto sicuro dove tornare la sera, quando fa notte presto e senti tanto freddo. La sento mia come la mia isola nella corrente, per tutte le volte che l’ho osservata sorridendo aldilà del Tevere. La sento mia come un sentiero segreto tra biblioteche, pasticcerie e gelaterie, che tante volte mi han consolata dopo un esame andato male o con più gioia dopo la fine di una sessione.
Ci torno sapendo che la troverò cambiata: saranno cambiati i negozi del centro, H&M, Zara e Gap a rimpiazzare Onyx e le Gallerie San Carlo, che nutrivano i miei desideri di adolescente. Ma quest’aria no, immutata resterà quest’accoglienza soffusa per i vicoletti, tra chiese custodi di Caravaggi e angeliche Biblioteche.
L’ho salutata sorridendo, guardandola fissa attraverso l’acqua di una fontana. Senza voler partire, ma sapendo che ogni volta tornare significherà ritrovare casa.

mercoledì 26 settembre 2012

Quel che resta...


                                                                                                       Cambogia
                                                    

Cosa mi resterà di questa vacanza?
In India ho lasciato il cuore, o meglio, il mio cuore di allora.
Il viaggio nel Sud Est asiatico, invece, è stata un’esperienza “conclusa”, dalla quale sono stata felice di tornare, e che mi ha fatto bene condividere con due amici.
“Non devo più preoccuparmi di controllare passaporto, carte di credito e computer”, mi sono detta mettendo piede in Italia. E per riguardare le immagini della prigione dei Kmer Rossi avrò bisogno di tempo.
Ho sentito la complessità di questo viaggio, del toccare una superficie scivolosa, dell’addentrarsi nel limbo di una storia troppo recente perché si possa arrivare a verità. Nei killing fields vicino Phnom Penh ho avvertito il magone, la rabbia, la voglia di girarmi da un’altra parte. Ho visto e  ascoltato senza una parola, sotto la pioggia, senza una lacrima. Uscita fuori l’autista del tuc tuc mi ha offerto una birra: ha detto che ne avevo bisogno.
Non bevo mai birra: quel giorno ho finito una Angkor Beer in due minuti.
Ho sentito le contraddizioni taglienti delle colline verdissime del Laos, chiedendomi se fossi finita nell’isola che non c’è. Poi ho aperto gli occhi e ho letto gli articoli su Vang Vieng, paradiso del divertimento nel nord del paese, dove ventenni occidentali dimenticano la via di casa perdendosi tra droghe a basso prezzo e discese ubriache sulle rapide di un fiume.
Mi sono lasciata ammaliare dalle lanterne di Hoi An, dal ponte cinese, dalla magia delle piccole stradine strette, ma ho storto il naso di fronte alle decine di pizzerie e gelaterie che soddisfano i turisti (me compresa, devo ammettere) rompendo la magia. Sono rimasta delusa da Hanoi e ancor più da Ho Chi Minh City: mi aspettavo il fascino di Saigon, basse case di legno e mercati colorati: ho trovato grattacieli, motorini, centri commerciali e smog.
Ho trovato il presente di una società che cambia. Come tutti noi, come tutto il nostro mondo.
E che come noi non ha poi tanta voglia di restare ancorata al passato, tranne quando non riesce a trasformarlo in una calamita per turisti.

Ho riletto una frase di Sepúlveda ieri sera.
E stavolta l’ho capita davvero.
 “Camino y hablo. Camino por París y hablo con mis amigos de Madrid, sentado en mi cuarto hamburgueño. Hay que renunciar a los territorios físicos y habitar el territorio de la imaginación.”

                                                                                     Luis Sepúlveda, Desencuentros


sabato 22 settembre 2012

Sulla via del ritorno



Si torna a casa, volge al termine questo viaggio, eppure continua dentro di me.
“Di cosa si ha bisogno per essere felici?”
In queste settimane ho fatto una patto con me stessa: per ogni cosa aggiunta al mio bagaglio ne avrei lasciata un’altra. Così ho scoperto che sono davvero poche le cose di cui ho bisogno, e che tornando all’essenziale posso andare lontano.
Negli ultimi giorni ho perso due cose importanti, che ritenevo importanti.
Ed ho capito che la vita continua anche se dimentichi il cellulare in un autobus, e che i ricordi restano anche se perdi il diario di viaggio. Ce ne andiamo noi, seguendo il filo del destino da un capo all’altro del mondo, ricorrendo sogni, seguendo o sfuggendo domande.
Ma i ricordi no, loro restano, talvolta addormentati, spesso nascosti, soggiogati da un tran tran confortevole.
Torneranno, un giorno. Un incontro sul treno disegnerà il volto di una persona ormai lontana, un profumo di gelsomino richiamerà alla mente fiori che scorrono in una notte d’estate. E risuonerà ancora un discorso fatto al vento, ritorneranno quelle eterne domande sul futuro, sul destino, sulla possibilità di scelta.
Forse non ci sarà il Mekong ad ascoltare, questa volta.
E probabilmente le risposte non saranno le stesse.
Noi, di sicuro, saremo cambiati, persi in un’altra parte di mondo, con pezzetti di cuore lasciati qua e là…