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lunedì 22 aprile 2013

New York

                                                                   New York, Williamsburg Bridge


Quasi maggio: un vento gelido passa irrequieto tra le maglie del ponte di Brooklyn.
New York ti prende l anima, la maltratta accogliendoti meretrice, fino a spezzarla per poi ricomporla a suo modo, frammentata in mille quartieri.

Da Brooklyn a Manhattan, sul ponte sole in faccia e musica forte, per scacciare i pensieri. Su fino alla 60th, rincorrendo Central Park, sognando a occhi chiusi, sotto un calore che ancora non c è. New york come un rifugio per senza dimora, specchiati nelle vetrine della 5th, e poi nascosti nei negozi di seconda mano di Bedford Avenue, e poi persi in un bar clandestino del Lower East Side.
Che a New York nessuno e solo, o forse, in fondo in fondo, tutti lo sono.
Immersi nei ricordi, in altre sensazioni, a parlare col passato per scoprire quanto cambiati siano i nostri occhi:  rimpianti e rimorsi, ancora una volta.

Come sei anni fa, sul Williamsburg Bridge.
Col vento freddo e il mio inseparabile ipad, ho guardato l' America e i miei nuovi orizzonti, soprattutto interiori.
Che poi, alla fin fine, ognuno si ritrova, sfuggendo il caos degli Organic shop del West Village, o tuffandosi nelle luci loud di Times Square, rincorrendo Wall Street o fermandosi nel silenzio di Staten Island.
A mani giunte, a pregare il Signore.
Ancora una volta, ricostruiremo la nostra America.





giovedì 30 agosto 2012

...Amp



Questa sera avrei dovuto pubblicare un post che parla di templi, di risaie e bambini...
Avrei dovuto scrivere una bella pagina poetica sulla Cambogia, descrivendo luoghi che fanno sognare.
E invece parlero' di una pagina di vita, e la dedichero' ad un angelo che ho incontrato oggi.
Sono le dieci e mezza di sera, scrivo da un paesino sperduto vicino a Bangkok.
Partita dalla Cambogia alle 7 del mattino, sarei dovuta arrivare al massimo alle 8 di sera, in tempo per una importante job interview via skype.
Ebbene...
Nell'ordine ho:
-perso il telefono sul primo bus:
-cambiato sette (!!) minivan dalla cambogia fino a qui:
-trovato un incidente con un tir rovesciato per strada;
-accumulato quattro ore di ritardo;
- quasi mancato la mia job interview (per la quale ho rinunciato a tre giorni di relax su un'isola....senza internet ne' cellulare...)

Cosa e' successo allora...?
Beh, ho incontrato uno di quegli angeli che aspettano a bordo strada, che non parlano la tua lingua ma capiscono col cuore, che non hanno bisogno della tua carta d'identita' per darti fiducia, che guardano la tua tristezza e capiscono il tuo dolore.
E fanno di tutto per venirti incontro.
Il mio angelo si chiama Amp, non parla inglese e non sa nemmeno come mi chiamo.
Mi ha incontrata per strada, tornando dal lavoro, mentre io camminavo, il mio megazaino sulle spalle, alla disperata ricerca di un internet caffe'. Avevo capito che a Bangkok prima di mezzanotte non sarei mai arrivata, cosi' ho chiesto di scendere, per non mandare all' aria l'interview.
Amp mi ha visto, ha cercato di capire cosa dicessi, mi ha fatto parlare al telefono con il suo ragazzo, che parla inglese. Poi mi ha portato a casa sua, mi ha dato le chiavi (!) e mi ha guidato in un fantastico internet point.
Stasera va a dormire da un'amica: a casa sua dormiro'io, una perfetta sconosciuta che lei ha accolto e portato con se'.
Non sono riuscita a dire nient'altro che un Thank you commosso...

lunedì 9 luglio 2012

Vittima di mafia nome comune di persona: intervista ad Adriana Musella





Pull rosa salmone, collana di perle e pietre dure: sorride.
Minacce e intimidazioni non le fanno paura: Adriana Musella parla di uomini delle istituzioni collusi con la mafia, che distruggono, annientano, cancellano il lavoro pazientemente fatto nelle scuole per seminare germogli di legalità e semi di speranza.
E’ una controrivoluzione difficile da combattere, quella contro chi viene dall’alto.
“Riuscirà mai a cancellare quella macchia grigia dalla sua memoria?”.
Alla tavola rotonda sulla lotta contro la mafia, ha rievocato una vicenda di trent’anni fa.

3 maggio 1983. Via Apollo, Reggio Calabria.
Una autobomba esplode, spargendo nell’area circostante brandelli del corpo dilaniato di un ingegnere salernitano. Una macchia grigia resta sul muro del palazzo di fronte a quello dove vive la giovane Adriana. Tracce del cervello di Gennaro Musella.
Non era un burocrate, né un magistrato, né un politico.
Quell’uomo era suo padre.
Un uomo comune, un professionista che aveva fatto qualcosa che non doveva fare, che aveva denunciato irregolarità e connivenze politiche in una gara d’appalto pilotata dai “Cavalieri dell’Apocalisse” di Catania.

Vittima di mafia: nome comune di persona.
E’ il titolo del libro pubblicato in occasione del trentennale della scomparsa di Gennaro Musella.
“Mai si potrà eliminare quella macchia grigia”, dichiara Adriana Musella.
“Mai potrò toglierla dalla mia memoria, mai potrò cancellare il dolore. Posso, però, dargli un senso con l’impegno, costruendo un’etica della memoria basata sulla formazione e l’informazione”.
Dell’educazione alla legalità attraverso la testimonianza ha fatto la sua missione, impegnandosi in una battaglia di sensibilizzazione nelle scuole.
“Fino a qualche anno fa tanti erano coloro che arrivavano a negare l’esistenza della mafia. Ora il ricordo di quello che è successo a mio padre vive aldilà di me”.
Per i tanti, spesso anonimi, soldati in trincea contro la mafia si è scelto un fiore: una gerbera gialla, simbolo di solarità e rinascita, emblema della speranza e della determinazione di coloro che lottano per non dimenticare, perché si possa diventare, tutti insieme, il cambiamento.

Ps Segnalo domani, a “Caffeina”, festival culturale a Viterbo, l’incontro con Maria Falcone, ore 21, Viterbo, Cortile dell’Abate.





mercoledì 6 giugno 2012

STEFANO





 
Ore 18.32: c’è ancora sole.
Di ritorno da un pomeriggio al Pigneto, Stefano è salito sul tram.
Ha rinunciato all’ happy auar del suo locale preferito per una patata dal greco[1] e una birra veloce.

Torna a casa: appartamento al quinto piano di un condominio senza ascensore: 250 euro per una doppia. In fretta toglierà la sua felpa preferita per indossare una maschera. Nera.

Ore 21.15
Un grido. Coltelli. Ferite. Urla.
Poi silenzio. Stefano ride, soddisfatto: potrà pagarsi l’affitto anche questo mese.
Ironico, ti fissa con i suoi occhi verdi penetranti, esigendo risposte alle sue domande inascoltate. Senza Paura.
Ciak, si gira:la mappa della sua vita gli suggerisce una strada, la sua isola del tesoro è all’Argentina, civico 52, teatro di città custode di sogni.


Ps STEFANO è uno dei ritratti immaginari di STORIE 14, Reportage antropologico basato su undici ritratti di persone in viaggio sul tram n.14 di Roma.
Foto: Giulia Venanzi.
Testi: Natalia Pazzaglia.


[1] Kalapà, Roma, Ristorante greco al Pigneto.

lunedì 14 maggio 2012

"Can I seat here, by your side?"


                                          Amristar,Gennaio 2012


E’di legno il braccialetto che porto al polso, composto da tanti piccoli pallini, quasi un rosario.

C’era scritto “friends”, ma le lettere sono state cancellate, spazzate via dall’uso, dall’acqua, dall’egocentrismo di altre esperienze che hanno ricacciato in soffitta questo incontro.


Amritsar, 19 gennaio 2012
Can I seat here, by your side? My name is Gyan”.
Sono le cinque e mezza, il cielo è grigio, fa tanto freddo.

Non ero preparata a queste temperature: pensavo che l’India fosse un paese caldo, roba da mosche e zanzare, non maglioni di lana e fuochi a bordo strada.
Sento le palpebre come macigni. Ho sonno. Mi sono alzata presto, troppo presto, perché non voglio perdermi la cerimonia. Il sole si fa attendere, la voce dei guru comincia a farsi sentire, ma il loro canto non mi riscalda: seduta sul bordo della vasca d’acqua sacra, mi chiedo cosa ci faccio qui.

Nel tempio d’oro, c’è pochissima gente: non è tempo di turisti.
“Take it: it’s for you: we are friends now. What’s your name?”.
Gyan avrà 30 anni, turbante rosso e kurti bianco.

Cammina a stento: lo vedo zoppicare mentre si avvicina sorridendo. Mi si siede accanto: ha una busta in mano. La apre e mi regala un braccialetto, poi comincia a raccontare, nel suo inglese stentato: della sua vita, della sua ragazza, delle sue difficoltà.

Ma i miei occhi sono tristi, il mio cuore stanco: non ho voglia di ascoltarti, Gyan, mi dispiace.

L’ho lasciato andare, questo incontro, ho lasciato che Gyan si allontanasse dal mio campo visivo, il suo turbante rosso che scompariva in lontananza.
Gambe incrociate, gli occhi chiusi, ho lasciato che i mantra cullassero il mio cuore.

Ed ho pianto.

Nei due giorni successivi, tante volte ho cercato Gyan, con gli occhi e col cuore, tra le mura del tempio. Non l’ho più trovato.

Il suo braccialetto, però, è sempre con me.

giovedì 3 maggio 2012

"I must be gone and live or stay and die"

                                                    
“I must be gone and live or stay and die”   
-William Shakespeare-



Comincia così questo blog, un po’ per caso, un po’ per determinazione, un po’ perchè certe volte sembra destino che le cose avvengano.
Comincia così, semplicemente, perché troppe parole mi stanno ultimamente vagando per la testa, ed ho bisogno di un aiuto per metterle in ordine.
Comincia così, semplicemente, senza pretese, perché cercando la perfezione credo si rischi troppe volte di restare a guardare…
Comincia così, semplicemente, perché era arrivato il momento: vento in poppa, ora di levare l’ancora.


Perché si chiama così? Perché proprio “Viaggi interiori”? Beh, perché chiunque abbia fatto un viaggio, fosse pure “attorno alla propria stanza”, sa bene che, come ricordava qualcuno, “il vero viaggio di scoperta non consiste nell’esplorare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”…
Ed ecco, credo io di aver visto, come tutti noi del resto, un numero ragguardevole di terre, e che ora sia arrivato, invece, il momento di avere il coraggio di modificare i miei occhi.


Su cosa, mi domanderete?
Beh…Su tutto: dal cornetto e cappuccino la mattina che può trasformarsi in una colazione bio equa e solidale, alla raccolta differenziata che risparmierà tanti alberi di questa piccola grande terra, dal sorriso non più di circostanza rivolto al barbone all’angolo della strada (sì, proprio quello che ci troviamo di fronte ogni mattina, all’ingresso della metropolitana, quando andiamo di fretta e vorremmo solo essere già arrivati a destinazione) alle parole da trovare quando la collera ci prende, e vorremmo avere la possibilità di chiedere “l’aiuto del pubblico” per tirarci fuori dai guai.


E perciò, miei cari compagni di viaggio (interiore o superficiale, reale o immaginario, sconvolgente o ordinario), eccoci qua, a condividere un’avventura.
Perché sì, in verità è per voi che comincia questo blog, per tutti quelli che hanno letto quello che ho scritto in queste ultime settimane, che mi hanno aiutato, ascoltata, incoraggiata. E, soprattutto, che hanno saputo aggiungere brandelli di sogno all’ordinaria quotidianità, che hanno saputo risvegliare in me paesaggi invisibili condividendo con me i loro pensieri, che mi hanno permesso di entrare, in punta di piedi, nei loro mondi segreti, aprendomi la porta delle loro vite.


Beh, ecco, voilà. Credo sia tutto, per stasera: penso di essere stata sufficientemente poetica e prolissa, come mio solito.
No, ecco, un’ultima precisazione: questo blog comincia ora, qualche minuto dopo la mezzanotte di questo quattro maggio, senza un perché in particolare, salvo l’avere, questa sera (sarà colpa dell’ultimo libro appena cominciato??) una frase che mi risuonava meticolosamente per la testa, a mò di mantra. “Non potremo mai dare il permesso ai nostri sogni di realizzarsi se non saremo noi i primi a crederci”…


E con questo, davvero, buonanotte…E sogni d’oro.