martedì 17 settembre 2013

Cartoline dal Medio Oriente

                                                                                         
 Damasco, Syria 2009

Ha il profumo dei ricordi il racconto di questo viaggio, l’odore intenso di caffè arabi, scuri e zuccherini, il sapore dolceamaro di dolcetti ebraici comprati per strada, la consistenza fluida di tante  docce fredde, unico ristoro in questa torrida fine estate.
Messe maronite, moschee e zanzare. Bicchieri d’acqua offerti per strada da perfetti sconosciuti, quattro chiacchiere sul bordo della strada, e notti insonni passate a raccontarsi le proprie vite, sul tetto dell’albergo, la città che si sveglia pian piano.
Bambini, e adulti che ritornano bambini: scoprire la felicità dentro il disegno di un origami. 
Non serve andare in capo al mondo per toccare il cielo: Gerusalemme è già qui. 

É qui con le sue mura e le sue porte, il suo suq e le sue strette vie, le sue chiese e le sue moschee, il suono delle campane cristiane che si fonde con quello dei canti ebraici, mescolandosi agli odori di spezie che arrivano dalle botteghe vicino alla Porta di Damasco. 
Muro del pianto e moschea di Al Aqsa, Santo Sepolcro e Basilica di San Giorgio, carne di tartaruga e succhi di melograno, fucili giocattolo e cardellini, soldati bambini e nostalgia di Dio.
Cosa manca al mosaico che costituisce le fondamenta di questa città?

Questa città ti prende l’anima, l’ammalia, la cattura, la sconvolge prima di ridurla a brandelli, lasciandola preda di infiniti pensieri e domande senza risposta. Si sente il dolore, lo sconforto, la rabbia per un Dio che non c’è, che non si fa trovare dalle mille voci che in tutte le lingue lo chiamano da ogni lato della città. E’nascosto e ignorato, il Dio delle consolazioni, sommerso nel mare di tensione che invade queste mura.
Che terra strana questa, in cui anche all’interno dello stesso tempio si continua a fare a gara a chi fa la voce più grossa, dove in una messa al Santo Sepolcro il latino del rito cattolico sembra non poter convivere con il greco dei preti ortodossi.

E poi…Il muro.
Tragitto da Gerusalemme a Betlemme: una decina di chilometri che ti scuotono dentro.
Lo senti, il muro, lo guardi innalzarsi senza capire, ma percependo il mare differenze e di incomprensioni che separa questi due popoli. 
E’venerdì sera: una folla indescrivibile si riversa nelle strade strettissime della città vecchia.
E’quasi finito il tempo del digiuno: le botteghe che vendono dolci al miele si riempiono dei tanti arabi che aspettano con gioia che il sole tramonti su questo ventesimo giorno di Ramadan. 
Dall’altra parte della città, frotte di ebrei confluiscono verso il muro del pianto per la preghiera della sera: tutto è pronto per lo Shabbat.
Bambini israeliani e palestinesi giocano per strada con luminosi fucili giocattolo: dove sono le bolle di sapone ed i palloni che rallegrano i bambini in tanti altri angoli del mondo?
Tornano in mente, allora, le parole di Amos Oz, che descrive gli uomini come isole circondate da acque nere, ma collegate ad altre isole: “E allora tu non domandare: che sono proprio fatti veri?” diceva lo scrittore, “Domanda a te stesso, piuttosto, delle cose tue. Quanto alla risposta, puoi serbarla tutta per te”.


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