lunedì 21 gennaio 2013

America

Washington, DC


Si prepara, l’America.
Si prepara innalzando bandiere, dipingendo ritratti, attaccando spillette, continuando a sognare…Perché il mondo cambi.
Un presidente come un simbolo, una speranza collettiva, un modo per sentirsi uniti.
Le strade oggi deserte, come le nostre quando gioca l’Italia ai mondiali.
Il discorso di Obama da un bar di Columbia Heights, affollato come in un qualunque giorno di festa, salvo poi il silenzio, rapito, e in un istante tutti si girano, per ascoltare l’America parlare di sé.
“Life, Liberty, Pursuit of Happiness: we will seize it as long as we seize it together”.
Creati uguali, uniti per celebrare non un Presidente, ma una Nazione.
“God bless you, guys”. 
Obama sorride all’America, a questa America della gente di colore rivestita di magliette, cappelli, magneti di Lui, l’America dell’alta società del jet set di Washington, in doppiopetto e tacchi a spillo (dentro la borsa a mano), l’America degli Young Professionals di Capitol Hill, persi tra Happy Hours e inaugurational balls. L’America degli Ispanici di Columbia Heights, dei cinesi della 8th, degli Europei di Dupont Circle, dei festaioli di U street. l’America sfacciata a fare i conti col liberal market, i problemi dell’health care e delle Università, l’America dei sogni e delle possibilità.
…Così tanto lontana stavolta è l’Europa.

Do you really left your house key (con coltellino svizzero aggiunto) to be allowed to go in the parade and see the President?”. Mi chiede la security sconvolta.
Ebbene sì. I did.
Cosa non si farebbe per abbracciare un sogno…




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