domenica 2 settembre 2012

Frammenti di vita ad Angkor Wat

Cambogia, dintorni di Angkor Wat


Sembra non ci sia riposo per i turisti cha visitano Angkor Wat.
Templi grandi come città aspettano in agguato, stuzzicando la curiosità di viaggiatori mordi e fuggi e infaticabili esploratori, condannando ad alzatacce all’alba e a sonnacchiose marce al tramonto, inseguendo il sole in templi sempre più affollati. Scalinate, cupole, statue, altari e laghi, ponti e boschi sacri: decine di pagine di storia, una pesante sensazione di impotenza, il dispiacere di non aver tempo per contemplare degnamente tutto ciò.

Oggi, terzo giorno, ho capito che in questi mesi sono cambiata.
Abbandonata la lista dei Wat, Ta, Preah[1] da visitare, mi sono concessa dieci ore di sonno, ho rinunciato ad un’escursione al fiume delle mille linga e ho fatto colazione con calma, gustandomi un banana pancake al ritmo dei Beatles.
Ho lasciato da parte le cose da sbrigare, ho preso la bici dell’albergo…E sono andata.
Senza tour de force (autoimposti) da rispettare, ho ritrovato la magia di questi luoghi, pedalando tra gli alberi che fiancheggiano la strada da Siem Reap a Angkor Wat. Non più di corsa, ho trovato il tempo per guardare galline e farfalle, scimmie, libellule, turisti giapponesi e famiglie cambogiane, ascoltando sorridendo, la cantilena dei bambini all’ingresso dei templi: “Do you want ten postcards? One, two, three, four…”.
Ho spento il rumore dei pensieri e ho camminato per templi già visti, così diversi se osservati sotto un’altra luce. In punta di piedi, o meglio pedalando senza far rumore, ho raccolto frammenti di giornate altrui, donne accovacciate nelle risaie, ragazzi addormentati sotto un albero, bambini che salutano, gridando “Hello” più forte che possono.
E ho capito che non è correndo che troverò la mia gioia...



[1] Alcuni dei nomi dei templi di Angkor Wat


       

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