lunedì 27 maggio 2013

Italiani d'America

          
La mail di un’ amica, riflessioni sull’Italia.
Sullo sfondo rabbia, delusione,  e senso di colpa: andare o restare, accettare a malincuore o rassegnarsi a sentirsi straniero. Sporcarsi le mani o fuggire, per imparare guardando da lontano, sperando di riportarle indietro, le lezioni, un giorno. Profeti in patria o stranieri in terra straniera: la strada della lontananza come panacea a ricordi che bruciano.
Italia. L’Italia dell’ astensionismo, dei femminicidi, della disoccupazione giovanile, dei laghi esondati e delle feste di paese. L’Italia dell’estate, dei riti e dei ricordi. L’Italia nel cuore.
La certezza di ciò che non si vede e il coraggio di ciò che si spera, in questi lunghi mesi americani, ammettendo che non è un delitto affezionarsi, e che è umano non esser sempre pronti a cambiare.
Ora qui, dopo essermi domandata così tante volte cosa ci facessi oltreoceano, ho capito che di casa non c’è n’è una sola, e che certe volte le deviazioni sono necessarie per arrivare alla meta.
E finalmente potrò comprarmi libri senza troppo pensare a riportarli indietro, e iscrivermi a un corso semestrale senza paura di perderne la metà. Ginevra de Benci sorriderà ancora, continuerò a sbirciare la Casa Bianca e vedrò di nuovo fiorire i ciliegi.

lunedì 20 maggio 2013

La città' dei Laghi

                                             

Minneapolis: cinque anni e due continenti,  senza che niente sia cambiato, amicizie che contano che resistono al tempo.
Disintossicarsi a suon di Hagen daz, libri di viaggi, maschere antistess e cupcakes. Squali, stelle e cavallucci marini nella città dei laghi.Grattacieli, mall of America, undici ore di sonno, una tempesta, un appartamento con una coppia gay. E mendicanti, una bottiglia sotto braccio, la stazione termini  anche oltreoceano.
Un tuffo al cuore dentro One dollar tree,  il mio primo viaggio negli States, i mall dell America allora come un sogno. E tredici anni dopo, di nuovo: un bivio e una strada, sei mesi di lavoro, un sublet e tanti amici. Una parete bianca, con qualche puntino nero.
Fuggendo i mall, ma senza più voler andar via.
...Almeno per adesso.

martedì 14 maggio 2013

Farewell


Happy Hour di arrivederci e almuerzos di despedita. Custodire Dc nel ricordo, abbracciandola  dalla collina del  Cimitero di Arlington, prima di perdersi in una festa ad Adams Morgan, e trascinarsi a casa in bici alle tre del mattino.
Cosa mi mancherà?
Il silenzio ovattato del fine settimana, l’ allegria soddisfatta dei caffè del venerdì, gli sguardi stupiti dei signori alla reception mentre me ne vado alle dieci di sera. E specialisti semi sconosciuti che condividono frammenti fragili, preziosi delle loro vite con te, giovanissima europea pseudo in carriera, arrivata da poco. Adesivi, forcine colorate e torte con frosting alla fragola per farmi felice.

Settimana pseudo tormentata, ultima chance per un nuovo lavoro, con la sensazione di non essere artefice della mia vita, l' anima piena di commozione, e gratitudine.
Molte persone mi han domandato perché voglio così tanto restare a DC. 
La maggior parte di loro crede che sia per il mio lavoro strapagato, che " lascerà un segno nel mio cv". Altri credono che sia per la bella città, o perché sono stata ammaliata dal fascino delle comodità della vita americana. 
Chi mi conosce davvero sa che non sono queste le cose che contano.
Voglio restare per i miei amici, per le persone meravigliose che in questi mesi mi han consolata, mi han fatto sorridere, mi han dato fiducia quando l’avevo persa, mi han camminato accanto e mi han resa felice.
Altre volte ho pianto, partendo.
Dopo  i sei mesi a Warwick, dopo l Erasmus a Lille, dopo i due mesi di India e dopo i sei anni a Roma ho sentito che sarei voluta restare, perché erano casa quei luoghi. Ma, come si dice “non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti1”.
"Piccoli pezzetti di cuore seminati nel mondo" come mi disse mio fratello tanto, tanto tempo fa.
Incrociando le dita, Farewell Dc.


1 Atti degli Apostoli 1,1-11.




martedì 7 maggio 2013

Puerto Rico


Finalmente una piña colada, música in spiaggia, pasticcio di banane,iguane, hamburger e mofongo. "Conoscete Goya?...La marca di pomodori, certo!" Cerveza,soccer, football e centri commerciali , Ronald trump, Mark Anthony, Shakira e il reguetton. Dumbed faces citando il Commonwealth e la rivoluzione francese. Non potrò mai integrarmi nella cultura americana.
"Se non possiamo abbattere o scavalcare i nostri muri, magari dovremmo solo aspettare il giorno in cui delle pianticine coraggiose troveranno  la forza di trovare lì la loro dimora"
La gente  ha già trovato rifugio negli Happy Hour e la musica forte dei bar si  e' spenta :"Don' t let your hearth be troubled".
Commuovendosi per l aiuto dei miei amici, sforzandosi di accettare i loro perenni ritardi latinoamericani, muovendo i primi passi di salsa e merengue su divari istorico culturali che non sembrano poi così importanti.


Seduta sulla spiaggia ormai vuota, l' incertezza dei prossimi mesi quasi non fa più paura...



"Tanto è la strada che troverà te"










                                         

sabato 27 aprile 2013

Living in dc




A letto tardi, due pagine di un libro e già dormo (dove sono finiti i tempi che leggevo fino alle 2 del mattino?), in letargo fino alle 8, poi la mia preghiera quotidiana, infilati i vestiti già pronti sulla sedia (per fortuna sono ancora ordinata).  Mascara, matita, collane e bracciali: pronti, si va. La skypecall alla mamma uscendo di casa, ringraziando il Signore per aver inventato l iPad, incrociando le dita perché il bus passi in fretta. Dieci minuti di attesa, manco a dirlo, i ritardi italiani anche oltreoceano. Quindici minuti di musica, due attraversamenti pedonali correndo, la tesserina magnetica che non funziona.
 Hola, que tal?...Dovevo proprio incontrare, in palese ritardo, il lead specialist nell ascensore?
Non ho fatto colazione, ovviamente (lusso riservato al weekend): dopo le prime venti mail della giornata ho davvero bisogno di un caffè. Di corsa al bar, da Ruth, il mio angelo custode che fa un cappuccino quasi come quello di mamma. Poi di nuovo al decimo: cerchiamo di combinare qualcosa.
Altro caffè alle 11 (di lavoro, ovviamente),e due ore di progetti, contratti, chiamate in Nicaragua e Ecuador. Finalmente l una, la mia lezione di kickboxing per scacciare lo stress. Pranzo davanti al computer (ci manca solo che mi prendo un altra pausa), revisioni, report e budget.
Ho appena mandato una mail alla persona sbagliata. Ho decisamente bisogno di una vacanza.
Alle quattro ennesimo caffè: sto cercando lavoro, per chi non se ne fosse accorto. Altre tre ore al desk, alle sette gala di popular democracy.
Non ce la posso fare.
Don't give up, Nati  you have to go...Cosa non si fa per trovare un contratto. In bicicletta sulla sedici, le ballerine nella borsa, due mojito e i tacchi per parlare di democrazia diretta con perfetti sconosciuti. L'ottanta percento delle persone non ha idea del perchè sia qui. In quarantacinque minuti mi sono fatta un idea del potere del marketing e del networking negli States. Abbiamo molto da imparare.
Tempo di andare: l aperitivo con gli italiani mi aspetta. Di nuovo in bici fino a U street, lounge con musica dal vivo, e per fortuna si parla italiano. Stavolta rinuncio ai tacchi: sono troppo stanca per fare networking, un paio di conoscenze e già non ne posso più.Sto desiderando ardentemente il weekend.
Saluto con un sorriso e mi avvio a Dupont, l' ultimo appuntamento della giornata: ho bisogno di ricordare che ho degli amici veri. Son le dieci ma non siamo ancora tutti: sto cominciando ad entrare nel mood, ma la pizza alle 11 è troppo. Estoy cansadisima, queridas, me voy. 
Più di così non posso resistere, ho bisogno di dormire...
Che domani si ricomincia, ma per fortuna è quasi Wend.



lunedì 22 aprile 2013

New York

                                                                   New York, Williamsburg Bridge


Quasi maggio: un vento gelido passa irrequieto tra le maglie del ponte di Brooklyn.
New York ti prende l anima, la maltratta accogliendoti meretrice, fino a spezzarla per poi ricomporla a suo modo, frammentata in mille quartieri.

Da Brooklyn a Manhattan, sul ponte sole in faccia e musica forte, per scacciare i pensieri. Su fino alla 60th, rincorrendo Central Park, sognando a occhi chiusi, sotto un calore che ancora non c è. New york come un rifugio per senza dimora, specchiati nelle vetrine della 5th, e poi nascosti nei negozi di seconda mano di Bedford Avenue, e poi persi in un bar clandestino del Lower East Side.
Che a New York nessuno e solo, o forse, in fondo in fondo, tutti lo sono.
Immersi nei ricordi, in altre sensazioni, a parlare col passato per scoprire quanto cambiati siano i nostri occhi:  rimpianti e rimorsi, ancora una volta.

Come sei anni fa, sul Williamsburg Bridge.
Col vento freddo e il mio inseparabile ipad, ho guardato l' America e i miei nuovi orizzonti, soprattutto interiori.
Che poi, alla fin fine, ognuno si ritrova, sfuggendo il caos degli Organic shop del West Village, o tuffandosi nelle luci loud di Times Square, rincorrendo Wall Street o fermandosi nel silenzio di Staten Island.
A mani giunte, a pregare il Signore.
Ancora una volta, ricostruiremo la nostra America.





giovedì 18 aprile 2013

"who cares?" No, we can make a change happen

"What we are doing is just a drop in the ocean. But if that drop was not in the ocean, I think the ocean would be less because of that missing drop"
-Mother Theresa-