domenica 14 luglio 2013

Città


E se abbattessimo tutte le barriere, se distruggessimo i palazzi e dimenticassimo le strade, cancellassimo gli oceani e superassimo i fusi orari, che confini avrebbe la mia città? 
Sarebbe fatta di edifici o costruita sulle persone, mossa dalle passioni o inchinata alle necessità?
Sarebbe visibile da lontano o si nasconderebbe agli occhi di chi la cerca, senza mai lasciarsi trovare?
Tutto e niente da offrire, regalerebbe il mondo in un pensiero, abbracciando il dolore in uno sguardo, facendo ridere con una carezza.
Sarebbe una città fatta di giardini, di alberi tranquilli, persi nel silenzio delle sere dell’estate, gli occhi dei suoi abitanti che si chiudono parlando della vita, con una birra in mano. Leggera ma con solide fondamenta, pronta a rinascere altrove, un araba fenice sulla mongolfiera del mondo. Sarebbe fatta di persone la mia città, le accoglierebbe tutte: chi se ne è andato e chi è sempre rimasto, chi è passato in un fugace apparizione e chi non ha mai trovato il coraggio di andar via. I suoi abitanti conoscerebbero a memoria tutte le strade: saprebbero sempre a chi rivolgersi per una chiacchierata in collina, per una partita a scacchi, per una passeggiata post discoteca, nel silenzio dopo il rumore delle feste lontane. Avrebbe tanti ricordi, la mia città, inscritti in solide fondamenta, immutabili come la memoria  ma accoglienti come il coraggio, quando la nuova terra si avvicina.

Senza più valigie, le sue strade come altalene, si potrebbe viaggiare lontano...

Stavolta sì, senza paura. 

lunedì 8 luglio 2013

From the beach

                                                             Kitty Hawk, North Carolina

"E a un certo punto devi scegliere: o resti sulla riva o accetti una mano tesa, ma per afferrarla devi chiudere gli occhi e fidarti".

David vive a Kitty Hawk, e' felice anche se non ha mai visto nulla oltre il North Carolina. Andrea viene dal Peru': arrivata negli Stati Uniti per lavoro, ha trovato il compagno di una vita e non si è più spostata. Qualcun altro e' italiano, ma sui generis, adora il gelato ma non la pasta: la sua parola d' ordine e' partire.

A Virginia a beach il silenzio  dell' oceano vince il freddo delle onde sulla spiaggia, per far posto al ricordo dei delfini, spariti nello spazio di un sorriso.
Frozen yogurt, avocado salad e hamburger, tre camere per sedici, tra ombrelloni, coolers e palloni. Un inno lontano e fuochi d' artificio, celebrando l' indipendenza altrui dietro cappelli stravaganti a stelle e strisce. Ritorno lento, a ritmo di musica colombiana, le universali file in autostrada dopo un weekend lungo di mare. Dal finestrino  l' America dei grattacieli fronte mare,  dei baywatch e delle piscine Hilton sulla spiaggia. L'America dei lunghi viaggi in macchina, a 55 miglia all'ora da non poter superare, l'America dei motel, dei campi sterminati e dei Wendy's a bordo strada.

"O le cavalchi, le onde, o ti lasci sopraffare,  piegandoti senza scelta al fatto che qualcun altro prenda il controllo".
E se non afferri quella mano puoi essere perduto.

lunedì 1 luglio 2013

Lucciole


Lucciole in giardino, e girasoli sul terrazzo, un paio di orecchini ad aspettarmi in stanza, regalo del padrone di casa, dal New Mexico.
Piove spesso a Washington in questi giorni: inizia col sereno e, d’improvviso, ti ritrovi a correre al riparo, incredula, pensando che salteranno i tuoi progetti di una passeggiata in serata. E, of course, ti disperi.
E invece no, invece poi torna il sereno, inaspettatamente.

Ho giocato a fare l’attrice ultimamente, ho accettato critiche (o almeno ci ho provato), ho messo in discussione un paio di pilastri apparentemente intoccabili e alla prova la mia capacità di scendere a compromessi.
Con la dolcezza di un bambino e la forza di un gigante.
Continuando a seguire le mie convinzioni nelle sabbie mobili dei mille punti di vista e nel confuso mix di sfumature della vita. Strade diverse per raggiungere gli stessi obiettivi, provando a non lasciare che sia turbato il proprio cuore.
  
Con la mia casa ormai in nessuno o in tutti i luoghi, o semplicemente, dov è il mio cuore, saltando da una vita all’altra, con la mia mappa  sottobraccio e il mio zaino in spalla.

“Respira, e aspetta, e aspetta ancora. E ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla alzati, e va dove lui ti porta”[1].



[1] Susanna Tamaro “Va dove ti porta il cuore”

ù

domenica 23 giugno 2013

Singapore


“Non preoccupatevi dunque per il domani […] Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”

Grattacieli, centri commerciali, cibo e giardini
Chinatown e le sue stradine strette, i negozi di elettronica, i centri di medicina cinese e le bancarelle di souvenir: dieci dollari per quattro ventagli, cinque portachiavi, tre borsette e un gatto che muove la zampa augurandovi buona fortuna.
A Little India per incontrare l’Oriente senza bisogno di andare a Delhi, tra sari, pashmine, candele e Corani: preparatevi a contrattare, e a togliervi le scarpe per entrare in un paio di templi. La notte a Claque Qay, tra megafunghi illuminati, fontane fosforescenti e bancarelle, si va alla ricerca di pub, discoteche, musica e ballerine del ventre.
Quanti negozi possono ospitare trentadue centri commerciali da almeno quattro piani ciascuno ? Per scoprirlo andate ad Orchand Road, ma lasciate a casa la carta di credito o vi ritroverete con due collane di perle, un ciondolo Tiffany e una longchamp senza avere il tempo di dire "mall". E poi l’Esplanade e i suoi teatri, Marina bay e l'arroganza dei progetti avveniristici, dei centri commerciali a filo d acqua, delle luci fluorescenti e delle camere al 54° piano, gli hotel storici in ginocchio fronte ai grattacieli, a guardare il futuro.
Crociere sul fiume, un giretto a Marina Sands su una barca a duecento metri di altezza, uno sguardo dalla ruota panoramica più alta del mondo e un assaggio di un chilo di granchio al pepe verde. E si finisce allo Zoo e al Night safari, tra zebre, lemuri, scimmie e tigri del Bengala, persi al buio della foresta pluviale.
Singapore della natura asservita al turismo, dei giardini pensili, dei condomini statali e delle campagne governative. Singapore dei malesi, dei cinesi, degli Indiani, degli expat europei e dei loro condomini ad Orchand Road. Singapore degli dei del commercio, degli operai al lavoro 24 ore, della finta libertà di stampa, dei casinò di lusso, delle verosimili menzogne e dell’ordinaria follia.

“Cercate invece, innanzitutto, il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt  6,33)



domenica 16 giugno 2013

In Qatar



“Una ragazza da sola, di notte, in Qatar?

Dodici ore di scalo verso Singapore: Visita a Doha sotto le stelle, quaranta gradi e una folla di falsi tassisti all' aeroporto.
" Which country? Which country?" con un tassista nepalese  convinto che Roma sia in Francia. Odore di cumino, e di colorati pappagalli piumati. Bianchi uomini e nere donne, burattini in una scacchiera intricata come i vicoli del suq. Conigli, falchi, incensi e tessuti di fronte al parlamento in costruzione. Lei mi guarda: uno smartphone sotto l' abbeyya, un facchino per portare gli acquisti: io quasi a disagio nella mia t shirt, sudata sotto il peso dello zaino, di un' emancipazione firmata north face.
Da sola nel parco di notte a sbadigliare ai grattacieli, tra famiglie con quattro bambini, qualche expat e tanti patiti dello jogging. Grattacieli e disco barche, mercati arabi e lounge bar, shisha e pizza, aria condizionata e Wi FI: se cercate l oriente cambiate meta. O punto di vista.



domenica 9 giugno 2013

Risurrezione

                                                                   Giordano Bruno, Rome, Italy



Risurrezione, la chiamano.
Dopo l’attesa: dei tre giorni, dei tre mesi, dei tre anni.
Continuare a credere, ad essere te stesso anche quando il mondo ti chiede ti cambiare: scosse di compromessi contro caratteri irriducibili.
Tutti sotto un cielo, sotto le stesse stelle, che, loro sì, hanno la pazienza di aspettare.
Mi piacerebbe, ora, un mazzo di tarocchi, per farmi predire il futuro, o ascoltare chi crede di sapere che ne sarà di me. Per sapere chi sarò. E come.
Ma forse non avrei il coraggio di quella risposta.

Ho aperto un cassetto della mia scrivania, il cassetto pre-partenze, e ho sfogliato un paio di libri dello scaffale dei viaggi. E’ cambiato tanto: dallo zaino da trekking verde acqua al trolley superleggero multitasche, alla valigia intercontinentale scura, finta radical chic. Dallo spray anti-aggressione, al minimarsupio invisibile, al cuscino gonfiabile, allo specchietto last minute. Da Gerusalemme al Vietnam, passando per l’India, ritorno in patria e poi oltreoceano, nella terra dei (finti) sogni.
Inseguendo la mia gioia di sempre: la finestra aperta sul mondo, i viaggi in terre lontane; mentre gli amici vicini continuano a dimostrarmi che ci sono, nonostante le distanze, nonostante il poco tempo, nonostante le connessioni altalenanti e i jetlag: loro ci sono.
E ti ricordano chi sei, quando preparano un cuscino sottile, perché “lo so che tu dormi senza”, o ridono sotto i baffi quando chiedi al gelataio di assaggiare il tiramisù, mentre sanno già che sceglierai nutella.

Risurrezione, la chiamano.
Quel cambiare di valige, di vestiti (di capelli no perché ai capricci sono affezionata), di città, senza mai mollare un paio di libri, qualsiasi peso abbia raggiunto il bagaglio di turno. Le Città invisibili, Siddharta, Ebano e il Piccolo Principe, a mò di cuscino sulla poltrona di un aeroporto, l’ennesimo.
E se la mia casa è dov'è il cuore, con i miei pezzetti di cuore nel mondo, saprò ricrearla ovunque, la mia casa.
In viaggio verso il Qatar, e poi Singapore: la risurrezione verrà da Oriente.

lunedì 3 giugno 2013

Miracoli


Due giorni di metafore, tra marce al buio e effimeri disegni di fiori, pronti a lasciarsi distruggere in virtù di un ricordo. Camminate tentennanti, affidandosi al buio, riempiendo vuoti coscendo il disegno a metà.



Castelli di carte crollano sul filo di una skypecall, in un pomeriggio di quasi inverno, nessun Facebook per mostrare  la disillusione di questo fine partita.

Piangere, arrabbiarsi e gridare.
Per un giorno, prima di trovare la forza per ricostruire il passato da un altro punto di vista. 


Altre ragioni e diverse opinioni, per rendere ancor più difficile riconciliarsi col giusto.

Accettare che siano cambiati i pezzetti di cuore, e che le formule dell' amore non siano sempre le stesse. Raccogliere fino all' ultima carta di un gioco distrutto, curando tutte le lacrime, indossando altre scarpe, provando a dimenticare se stessi. 
Ricominciare, trovando il coraggio per giocare un' altra partita, scoprendo quanto fa male la sofferenza degli altri, e quanto brucia la tua.


E fu sera e fu mattina: il Corpus Domini e la forza dei miracoli.

Guardare in faccia i propri egoismi, le proprie gelosie; mandar giù' tutto, per ripagare  qualcuno che tanto ci ha amati.
Perdonare.
Per quanto sia difficile, perdonare.
E continuare a credere nei miracoli, anche solo per un giorno.